Il tema del talento presenta moltissime sfaccettature; quello che appare evidente negli ultimi tempi è che il problema maggiore non sia quello di identificare e attrarre i talenti ma soprattutto quello di trattenerli. E ciò significa creare le condizioni di contesto affinché le persone possano essere in grado di valorizzare il loro talento nell’organizzazione.
Manager e team leader hanno un ruolo chiave, come suggeriscono Nonaka e Takeuchi[1]: la loro missione è quella di valorizzare e favorire la condivisione delle capacitazioni dei collaboratori, per far crescere la realtà in cui lavorano.
Capacitazione, termine derivato dall’inglese capability (parola composta da capacity e ability), è appunto la capacità di azione, l’abilità di agire il funzionamento desiderato. È l’abilità di integrare, trasferire, adattare e modificare le competenze personali per poi utilizzarle in nuovi contesti.
La formazione è un momento importante per lo sviluppo delle capacitazioni. Promuovere un Capability Approach nel campo dell’educazione agli adulti è quello che può fare la differenza. Intersecare lo sviluppo personale e il “capitale umano”, così che lo sviluppo apprenditivo dell’individuo diventi una crescita professionale per l’azienda intera.
L’idea che Jack Mezirow[2] ha della formazione è trasformativa: capacitare l’individuo stimolando la sua autonomia, per trasformare il potenziale in funzionamenti.
Imparare a imparare. Rimettersi in gioco, in un apprendimento permanente e continuo.
Sono i nuovi strumenti per il nuovo mondo, che tutti possediamo, ma spesso senza esserne consapevoli o senza saperli valorizzare.
In linea con questa prospettiva, l’editore PerformanSe, leader europeo nello sviluppo di strumenti per la valutazione delle competenze comportamentali e motivazionali, si conferma particolarmente dinamico nel cogliere l’evoluzione dei contesti organizzativi e a sviluppare strumenti adatti alle nuove esigenze del contesto HR.
Negli ultimi anni, si è scelto di integrare gli strumenti di valutazione con l’analisi di alcuni “schemi di pensiero” che arricchiscono il modello multi-scientifico di analisi delle soft skills iniziale per consentire una lettura sempre più precisa dei comportamenti.
Gli schemi di pensiero sono delle rappresentazioni spesso inconsce che influenzano le nostre strategie di azione. Sono piuttosto personali e specifici perché nascono dalle nostre esperienze, sia emotive che cognitive, e costituiscono quell’insieme delle credenze e conoscenze che abbiamo accumulato negli anni che guidano la nostra percezione e la nostra azione.
Sono queste “credenze personali” infatti che permettono di comprendere con quale forza e consapevolezza ciascun individuo agisce le proprie skills nel contesto professionale e non solo.
Gli schemi di pensiero che sono stati integrati sono: il contatto psicologico, gli schemi legati al ruolo manageriale, alla professione, alla risoluzione di problemi complessi e al concetto di “chiarezza di sé”.
Tornando al tema dello sviluppo e della retention del talento, questi elementi ci forniscono delle basi di appoggio per costruire i nostri piani crescita individualizzati.
In particolare, la possibilità di disporre di una misura del concetto di “chiarezza di sé” appare interessante, secondo quanto evidenzia Mezirow, perché permette alla persona di riflettere su se stessa, sulle sue capacità e caratteristiche, identificando da sola i propri freni e le proprie risorse per affrontare le nuove esperienze di vita.
La lettura di questo schema di pensiero, ci aiuta a comprendere il grado secondo cui le credenze maturate su se stessi sono percepite in modo chiaro, definito, coerente e stabile nel corso del tempo. E ci permette di formulare ipotesi sulla modalità in cui la persona utilizzerà le sue skills, in modo più o meno proattivo e consapevole, di fronte ai cambiamenti; di assumersi le responsabilità delle decisioni, mettersi in gioco sperimentando soluzioni inedite o se preferirà, piuttosto, ricondursi ad esperienze già conosciute.
È anche l’elemento alla base dell’attitudine ad apprendere. È la conoscenza di sé, infatti, che ci guida nella scelta degli argomenti di studio, del metodo migliore da adottare (per noi), nella selezione delle parti che riteniamo più importanti e nella sicurezza con cui esprimiamo le risposte.
Nel contesto dell’assessment, la “chiarezza del concetto di sé”, non solo ci aiuta quindi a formulare delle ipotesi rispetto agli elementi appena descritti ma è anche di supporto alla pianificazione del colloquio.
Con persone che hanno una visione di sé contrastante è importante porre domande concrete, evidenziare le competenze che emergono dal suo discorso e concedere maggior tempo per riflettere sui legami tra esperienze e competenze.
Al contrario, con persone che manifestano una visione chiara di sé è importante verificare se questa conoscenza è corretta e se la persona sta pensando criticamente a se stessa. Chiarire che non si “perderà” tempo su elementi già noti e soprattutto evitare di contraddire le sue certezze per non creare diffidenza e distacco.
Non possiamo prescindere dall’idea che l’individuo è l’attore del proprio sviluppo, noi possiamo solo cercare di creare le condizioni di contesto più adatte alla crescita e a favorire le capacitazioni di ciascuno, anche arricchendo le nostre metodologie di assessment in modo che ci consentano di portare a sintesi più sguardi diversi, se vogliamo garantire all’organizzazione una sostenibilità di lungo periodo.
Articolo a cura di: Andrea Bennardo
[1] Nonaka I., Takeuchi H., L’impresa saggia – come le imprese creano l’innovazione continua, Guerrini, 2021
[2] Mezirow J., Apprendimento e trasformazione: il significato dell’esperienza e il valore della riflessione nell’apprendimento degli adulti, Milano, Raffaello Cortina, 2003