Be Human, Be Digital, Be Dynamic. L’immagine del manager del futuro

Intervista con Alessandra Todisco

Direttrice Generale presso Sivam Spa

 

Alessandra, qual è l’importanza di introdurre dei percorsi di analisi e valorizzazione delle soft skills all’interno di un’azienda?

Conoscevo già l’esistenza di strumenti di valutazione per le competenze e ho sempre pensato che fossero un valido aiuto per lavorare nell’ambito delle Risorse Umane. Quando ho proposto all’amministratore delegato di adottare questi strumenti, è stato subito favorevole, ma ha voluto che fossi la prima a testare i questionari. E ha avuto ragione. È stato provandoli in prima persona che mi sono resa conto di quanto gli strumenti ti possano restituire un quadro accurato: nel report ho “letto” me stessa. Ti restituisce un’immagine fatta di potenziale e di talenti di cui magari non sei consapevole, oltre a degli spunti di miglioramento che sono solo che utili. In questi strumenti ho trovato una grande ricchezza da utilizzare per lo sviluppo professionale e personale dei collaboratori. Fin dall’inizio ho ritenuto fossero un valore aggiunto, sia per l’azienda che per i singoli lavoratori: un vantaggio per l’azienda e un modo di dimostrare alle risorse che stiamo investendo su di loro. Dopo la prima fase di assessment, abbiamo sviluppato dei percorsi di coaching, che ne amplificano l’efficacia: l’assessment consente di avere una base su cui poter lavorare per avviare un percorso di sviluppo e crescita.

 

Essere manager oggi. Come si agisce sullo sviluppo della managerialità? Cosa è necessario a una persona per lavorare in un ruolo di responsabilità?

Un manager ha una grande responsabilità: deve essere capace di automotivarsi, per poi poter motivare gli altri. E questo è tanto più importante quanto più si sale nell’organizzazione. E deve essere capace di cambiare, di mettersi in discussione. Un manager efficace è una persona disponibile a mettersi in una prospettiva di formazione continua, in un mercato in costante evoluzione. Pronto a reinventarsi. E deve avere un bagaglio di soft skills dal quale poter attingere, in base alla necessità e ai diversi contesti nei quali si trova ad agire. Come, ad esempio, le modalità di leadership. Un leader può avere uno stile più direttivo oppure la tendenza a cercare il consenso: è importante avere la capacità di adottare uno stile di leadership diverso da quello che naturalmente si è portati a usare, se la situazione lo richiede. Per riuscire in questo, bisogna, prima di tutto, essere consapevoli di se stessi. Un punto di vista esterno e oggettivo aiuta molto nell’acquisizione della consapevolezza, e questo è uno dei principali aiuti dati dall’uso degli strumenti e dai percorsi di coaching. L’assessment è il punto di partenza per definire degli obiettivi personali a lungo termine. È un’attività che non si esaurisce con la restituzione del report, ma è l’inizio di un percorso di miglioramento.

 

Dopo il fenomeno delle Grandi Dimissioni, si parla molto di talent retention. So che è un tema che ti sta a cuore.

Attrarre talenti è difficile ed è difficile poi anche riuscire a tenerli. Se una persona ha del potenziale, è evidente anche all’esterno dell’azienda e può avere molte possibilità e offerte. È qui che entra in gioco il contratto psicologico. Nella mia esperienza, ho notato che alcune componenti hanno un grande peso nella scelta delle persone di restare in una determinata realtà. Riferendomi in particolare ai giovani, ho scoperto che la retribuzione non è l’elemento principale. Dato per scontato che il trattamento economico sia adeguato, la flessibilità, il clima organizzativo e i percorsi di sviluppo sono le discriminanti. Per persone nate in un contesto digital, la flessibilità è un requisito quasi scontato. Hanno bisogno di sapere qual è il percorso di sviluppo che l’azienda ha pensato per loro, hanno bisogno di proiettarsi in un futuro. E qui l’azienda, in primis, deve avere chiaro quale percorso di crescita vuole prevedere per i collaboratori. Per dare il meglio di sé, ogni persona ha bisogno di avere l’opportunità di evolvere. Investire sull’engagement è qualcosa a cui bisogna prestare attenzione, perché è quello che fa la differenza. Ricordo un’espressione che mi ha colpito molto: ogni lavoratore deve apprezzare the smell of the place, l’odore di un clima positivo che premia i risultati e promuove la cultura dell’errore. Per i giovani è vitale vedere l’impatto che il loro lavoro ha sull’organizzazione, come poi lo è per tutti: sentirsi realizzati e vedere realizzato quello che è il nostro contributo al mondo. Tanto di quello che facciamo passa anche attraverso il lavoro, quindi avere una chiara e bella immagine di quello che è il nostro contributo al mondo del lavoro, significa avere la motivazione e l’energia per andare avanti.

 

Quali sono gli aspetti che ritieni importanti nei percorsi di assessment e quali le criticità da considerare? Come consiglieresti di procedere e quali attenzioni dovrebbero avere i tuoi colleghi dell’HR?

A chi non conosce gli strumenti, consiglierei di provarli personalmente: fare un proprio percorso di valutazione è il modo migliore per acquisire fiducia nello strumento. E, per la mia esperienza, una volta provato e implementato, difficilmente si torna indietro, perché il valore aggiunto che porta nell’organizzazione è veramente alto. Gli strumenti sono dei “facilitatori” nell’affrontare certe tematiche con le persone interessate: quando ci si deve confrontare sulle aree di attenzione, è più efficace se lo si fa nella posizione di un’azienda che ha intrapreso un percorso e ha coinvolto il collaboratore in un processo di assessment. Acquista credibilità, perché non si tratta di un’opinione personale, si tratta di caratteristiche emerse dal report dello strumento. Si può decidere di far certificare all’uso degli strumenti delle persone interne all’organizzazione per poi gestire il processo autonomamente, ma ci si può anche avvalere del supporto di coach esterni, nell’eventualità di situazioni più complesse da gestire: credo che questa flessibilità sia molto vantaggiosa. Ma una cosa a cui prestare molta attenzione è a quali colleghi mostrare i report, con chi condividerli: chi non è competente in materia, può arrivare a fare considerazioni e formulare giudizi controproducenti per il collaboratore. Vorrei concludere con tre incoraggiamenti che sono diventati la mia filosofia:

#behuman: sii un manager attento alle esigenze dell’azienda ma non perdere mai di vista le persone

#bedigital: liberati dai vecchi schemi e orientati al digitale

#bedynamic: sii disposto a cambiare

 

 

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